29 novembre 2007

NON SONO D’ACCORDO CON LE POLITICHE CULTURALI DEL NOSTRO PARTITO

(Vorrei tanto stare accorto alle parole. Spesso sfuggono al controllo. Vorrei tanto essere meno retorico. Forse dovrei starmene zitto. Ma – caro Ludwig – gli è che ho molto da dire. Allora proverò a dire le mie confuse cose sommessamente, tra parentesi, in corsivo.)


“Le idee migliorano. Il senso delle parole vi partecipa. Il plagio è necessario. Il progresso lo implica. Esso stringe dappresso la frase di un autore, si serve delle sue espressioni, cancella un’idea falsa, la sostituisce con l’idea giusta.”

(Guy Debord)


La quantità delle cose che non sappiamo è immensa, praticamente illimitata. Su questa usiamo ritagliare un piccolo quantitativo di conoscenze e informazioni che crediamo la nostra cultura.”

(Pier Paolo Pasolini)


(Giusto per intendersi sul senso della raccolta di citazioni che segue – e che precede: mi sembra del tutto inutile reinventarsi riflessioni – sicuramente facendo peggio, essendo in possesso di una modica quantità, per uso personale, di conoscenze ed informazioni).


“L’elemento popolare “sente”, ma non sempre comprende o sa; l’elemento intellettuale “sa”, ma non sempre comprende e specialmente “sente”. I due estremi sono pertanto la pedanteria e il filisteismo da una parte e la passione cieca e il settarismo dall’altra. (…)

L’errore dell’intellettuale consiste nel credere che si possa sapere senza comprendere e specialmente senza sentire ed essere appassionato (non solo del sapere in sé, ma per l’oggetto del sapere) cioè che l’intellettuale possa essere tale (e non un puro pedante) se distinto e staccato dal popolo-nazione, cioè senza sentire le passioni elementari del popolo (…) collegandole dialetticamente alle leggi della storia, a una superiore concezione del mondo (…)

Non si fa politica-storia senza la passione, senza cioè la connessione sentimentale tra intellettuali e popolo-nazione. In assenza di tale nesso i rapporti dell’intellettuale col popolo-nazione sono o si riducono a rapporto di ordine puramente burocratico, formale; gli intellettuali diventano una casta o un sacerdozio. Se il rapporto tra intellettuali e popolo-nazione, tra dirigenti e diretti – tra governanti e governati – è dato da una adesione organica in cui il sentimento-passione diventa comprensione e quindi sapere (non meccanicamente, ma in modo vivente), solo allora il rapporto è di rappresentanza, e avviene lo scambio di elementi individuali tra governanti e governati, tra dirigenti e diretti, cioè si realizza la vita di insieme che solo è la forza sociale; si crea il “blocco storico”.

(Antonio Gramsci)


(Bisogna comprendersi, compagni: siete sicuri dell’attualità di Gramsci? Vi posso sottolineare il passaggio identificativo tra intellettuali=governanti=dirigenti versus popolo=diretti=governati? O abbiamo sposato l’idea – tutta liberale – dell’intellettuale affrancato dalla politica? No, eh? Bene. Posso continuare? )

“Quella che si chiama “cultura” rispecchia, ma anche prefigura, in una data società, le possibilità di organizzazione della vita. La nostra epoca è caratterizzata, fondamentalmente, dal ritardo dell'azione politica rivoluzionaria rispetto allo sviluppo delle moderne possibilità della produzione, le quali esigono una superiore organizzazione del mondo.”

(Guy Debord)


(Insomma ce lo dicono da un sacco di tempo, compagni: dobbiamo elaborare una superiore concezione ed organizzazione del mondo).

“Non è la felicità che conta? Non è per la felicità che si fa la rivoluzione?”

(Pier Paolo Pasolini)

(Va bene, rivoluzione è una parola grossa: ma felicità? Qualcuno dice per caso “Non è per la felicità che si fa il Partito Democratico?” o “…che si fanno le riforme?”)

“Va bene: la mia può essere l’ottica di un “artista”, cioè, come vuole la buona borghesia, di un matto. (…) Va detto che l’ottica dei pazzi è da prendersi in seria considerazione: a meno che non si voglia essere progrediti in tutto fuorchè sul problema dei pazzi, limitandosi comodamente a rimuoverli.

Ci sono certi pazzi che guardano le facce della gente e il suo comportamento. Ma non perché epigoni del positivismo lombrosiano, ma perché conoscono la semiologia. Sanno che la cultura produce dei codici; che i codici producono il comportamento; che il comportamento è un linguaggio; e che in un momento storico in cui il linguaggio verbale è tutto convenzionale e sterilizzato (tecnicizzato) il linguaggio del comportamento (fisico e mimico) assume una decisiva importanza.”

(Pier Paolo Pasolini)

(Le ingombranti presenze e le malevole risposte risultano evidenti all’occhio dell’artista pasoliniano: cosa ci stiamo a fare a fianco di Gigi D’Alessio invece di stare a mescere vino buono per i ragazzi che suonano gratis? Non dico chic, ma un po’ radical, almeno, che diamine…come usava una volta alle Feste de l’Unità. Vero esempio di radicalismo scicchissimo.)

Dire l’incredibile e fare l’improbabile: è giuso il tipo di vita che vorrei per me.

(Oscar Wilde)

(Fine?)

(Pubblicato su "La voce dei lavori")